Oliva Gaeta

Oliva Gaeta

Nome botanico
Olea europea var. Itrana.

Provenienza
Italia, Lazio, soprattutto le province di Roma e Latina.

Periodo di raccolta
Per le olive verdi da ottobre a novembre, per le cangianti da novembre a gennaio, per le nere da marzo ad aprile. I periodi possono variare in base alle annate. Inoltre, l’Itrana ha una maturazione tardiva che raggiunge la completa pigmentazione a febbraio marzo.

Abbinamenti cibi

L’oliva di Gaeta ha un gusto inconfondibile: sapido, leggermente amaro ed acidulo. Olfatto e retrogusto regalano sentori fruttati che possono ricordare la prugna, la mora o più in generale frutti rossi, ma anche il mosto o il vino, e delle note acetiche. La polpa è soda ma tenera, con una leggera croccantezza. L’Itrana bianca ha stessa sapidità e acidità, con un amaro più pronunciato ma non eccessivo. I profumi sono più erbacei. Con polpa soda, compatta e croccante, ma non eccessivamente dura o fibrosa. L’oliva di Gaeta è famosa in cucina come ingrediente di piatti tradizionali. Tra i primi piatti spiccano gli spaghetti alla puttanesca, mentre tra i secondi il polpo alla luciana e il baccalà alla napoletana. Come contorni, la scarola saltata. Tra i piatti unici, abbiamo la tiella di Gaeta. L’oliva bianca invece si sposa molto bene con le verdure. Ottima in insalata, nella caponata di melanzane al posto delle tradizionali varietà di olive siciliane e sulle focacce.

Abbinamenti
e bevande

L’oliva nera al naturale (oliva di Gaeta) si può sorseggiare con un Cesanese del Piglio o un Pinot nero, che possiedono note fruttate e sapore secco con buona acidità. Per chi preferisce vini meno intensi, un rosato del Salento, oppure per chi ama i bianchi, un Fiano o un Pinot Bianco. Per l’Itrana o oliva bianca (olive verdi o cangianti), i bianchi come il Fiano, il Grechetto, la Falanghina o la coda di Volpe sono un ottimo abbinamento.

Caratteristiche

L’Itrana è una cultivar a duplice attitudine. Conosciuta come oliva da tavola nera (l’oliva di Gaeta) la sua versione verde e/o cangiante (Itrana bianca) sta riscuotendo sempre più successo, come del resto l’olio extravergine, vincitore di numerosi concorsi e presente in tutte le guide. Di peso elevato, forma ellittica e asimmetrica, con apice e base arrotondati, le drupe possiedono un rapporto polpa/nocciolo elevato e sono molto resistenti al distacco dalla pianta. Le lenticelle sulla cuticola sono numerose e grandi. Il distacco della polpa dal nocciolo è estremamente agevole, sia per le olive verdi che per le olive ben mature (nere). La pianta tollera bene il freddo e le principali malattie crittogamiche, ma è sensibile agli attacchi della mosca olearia. È una pianta vigorosa e rustica, con produttività elevata ma alternante. È una varietà autoincompatibile, quindi necessita di altri olivi che fungano da impollinatori (Leccino e Pendolino normalmente) per una buona produzione.

Forse non tutti sanno che...

Poche cultivar di olivo possono vantare una tradizione come quella dell’Itrana. Sembra quasi che ogni aspetto di questa oliva porti con sé una storia o una leggenda. A partire da quella più antica, che vede niente di meno che Enea ed i suoi uomini, mentre navigavano lungo la costa pontina prima di approdare al Golfo di Caieta (l’odierna Gaeta), raccogliere dal mare dei piccoli frutti neri, che si rivelano piacevoli al palato, col loro sapore amarognolo unito al salato dell’acqua. La prima oliva di Gaeta in salamoia appunto, drupe di Itrana cadute in mare dagli olivi presenti sulla costa.

Il nome è figlio di un porto, dei tanti barili con sopra la scritta “GAETA” che partivano alla volta dei vari mercati di vendita. Gaeta nel medioevo era il centro politico-economico più importante del Sud pontino. Da qui partivano navi stivate di olio, olive e sapone. La merce proveniva da tutto il Basso Lazio ma per i destinatari i prodotti erano semplicemente di Gaeta. Da qui il nome che venne dato alle olive e che tutt’oggi viene utilizzato. Anche se forse la dicitura tralascia i quasi 20.000 olivicoltori di quella fascia di territorio che scorre per quasi novanta chilometri tra Castelforte a Rocca Massima (nel disciplinare dell’oliva di Gaeta DOP la zona è più estesa di quella menzionata), è anche vero che cambiare adesso il nome ad un prodotto che di fatto ha un marchio riconosciuto ovunque nel mondo, sarebbe un danno commerciale notevole.

Per olive famose come l’Itrana, non sono rare le falsificazioni. Anche per contrastare il fenomeno della pirateria agro-alimentare, è stata richiesta la tutela comunitaria sotto forma di Denominazione di Origine Protetta (DOP). Il processo iniziato nel 1997 con l’istituzione del Coprog (Comitato produttori olive di Gaeta), si concluse nel 2016 con la pubblicazione del relativo regolamento nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Il “sistema all’Itrana”, pubblicato nel disciplinare, prevede l’avvio naturale della fermentazione lattica escludendo l’aggiunta immediata di sale e/o di sostanze acidificanti di sintesi. Le drupe vengono poste in recipienti e sommerse con acqua potabile. Il prodotto dovrà essere mantenuto in tale stato al fine di permettere l’avvio e lo sviluppo naturale del processo di fermentazione, al termine del quale il pH diventa inferiore o uguale a 4,5. Successivamente si procede all’aggiunta al liquido di governo del sale da cucina in quantità non superiore ai 7 kg di sale per ogni 100 kg di drupe allo stato fresco, in modo da ottenere la salamoia. Dopo almeno 5 mesi dalla salatura, le olive sono pronte per essere confezionate come “Oliva di Gaeta” DOP.

Ma l’oliva Itrana non è solo “Oliva di Gaeta” DOP. Come già accennato, anche le olive verdi e cangianti possono essere lavorate con il sistema all’Itrana per ottenere l’oliva bianca. Un metodo alternativo prevede la fermentazione in due fasi, aggiungendo subito la metà del sale (prima fase) e la rimanente dopo circa 20 giorni. La seconda fase dura circa 4-6 mesi. A volte viene usato il metodo alla greca, con immediata aggiunta di sale. Poi ci sono gli altri quattro metodi di preparazione tradizionali ma meno famosi: olive schiacciate, al forno, affumicate e all’acqua. Le schiacciate sono olive verdi ammaccate con una pietra, messe in ammollo per 5-10 giorni cambiando l’acqua 1-2 volte al giorno, e poi condite con olio, sale aglio e vari aromi. Quando il pane si faceva a casa, dopo la sua cottura, veniva il turno delle olive nere di essere infornate per tutta la notte. Il giorno seguente le olive erano pronte per il consumo. Le olive affumicate venivano fatte seccare sopra il tradizionale braciere al centro delle case. Quelle all’acqua invece, erano olive verdi lasciate in una poltiglia di acqua, cenere e calce e poi sciacquatequando pronte. L’antenato del metodo oggi conosciuto come “sivigliano”.

Diversi studi si sono concentrati sulla caratterizzazione della flora microbica per realizzare starter adatti alla standardizzazione delle produzioni. La totalità di questi studi dimostra come l’uso di starter idonei non solo regolarizzi le produzioni, ma aiuti anche la degradazione dell’oleuropeina, la generazione di note sensoriali adeguate e l’abbassamento del pH a livelli considerati sicuri. Per l’oliva di Gaeta DOP ovviamente, c’è il problema del disciplinare, che non prevede assolutamente l’uso di microflore selezionate. Anche i casi di fermentazioni spontanee comunque sono stati studiati. Una ricerca sull’oliva di Gaeta DOP ha messo in relazione la durata del periodo di permanenza in acqua e la quantità di sale utilizzato, con varie caratteristiche del prodotto tra cui quelle sensoriali. Una maggiore permanenza in acqua (30 vs 15 giorni) risulta in olive generalmente più amare e acide. Una minore invece, con lo sviluppo di note aromatiche “vinose”. Alte percentuali di sale (8% vs 6%) rendono l’oliva generalmente più croccante e salata. Invece la combinazione di basso sale e maggiore permanenza in acqua genera olive con aromi più fruttati.

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